lunedì 18 maggio 2009

Claudio Foti intervista il professor Daniel Goleman

LA MEDITAZIONE COME CURA DELLA MENTE


CLAUDIO FOTI: C'E’ QUALCOSA DI MISTERIOSO NELLA FUNZIONE MENTALE DELLA CONSAPEVOLEZZA, COME MAI LA CONSAPEVOLEZZA DEL QUI E ORA O LA CONSAPEVOLEZZA DEL PASSATO CHE VIVE ANCORA NEL PRESENTE RIESCE A FAR STARE BENE LA GENTE? COME MAI LA CONSAPEVOLEZZA PRODUCE BENESSERE E CAMBIAMENTO?

DANIEL GOLEMAN: E’ un assunto che la consapevolezza stessa sia curativa. E’ quanto dice Freud: sono gli insight della psicoanalisi, gli sguardi del paziente in analisi nel proprio mondo interno. Le difficoltà emotive che derivano dal passato possono renderci prigionieri di noi stessi nel presente: possono farlo a causa di una mancanza di consapevolezza. Primo, noi non sappiamo cosa sta accadendo dentro di noi, secondo anche se sappiamo cosa sta accadendo, non sappiamo il perché. Terzo, se sappiamo il perché non lo capiamo abbastanza nel profondo per intravedere una via di uscita. Tutto può essere conquistato con la consapevolezza o si prende un’altra strada nella quale il passato ci continua ad intrappolare nel presente.
Se continuiamo ad agire nelle nostre attuali relazioni una paura del passato, per esempio se io sono stato abbandonato da piccolo, adesso con il mio innamorato sono così preoccupato che mi possa abbandonare che sarò io a lasciarlo per primo. E continuerò così a ripetere la mia sovrapposizione del passato sul presente, a meno che non divento pienamente consapevole di quanto sta accadendo, nel presente e del perché ciò che accade arriva dal passato: questo è il primo passo per la libertà.



CLAUDIO FOTI: LEI HA SCRITTO UN LIBRO STRAORDINARIO CON IL DALAI LAMA SULLE EMOZIONI DISTRUTTIVE IL CUI SOTTOTITOLO E' “COME LIBERARSI DAI VELENI DELLA MENTE”. QUALI SONO LE PRINCIPALI EMOZIONI DISTRUTTIVE E COME E' POSSIBILE LIBERARSENE?

DANIEL GOLEMAN: Ogni emozione può avere una funzione utile: la rabbia ci informa che qualcosa deve essere cambiato, la tristezza può essere una vera e propria cura, l’ansia ci fa scappare da qualcosa che dobbiamo affrontare. Quindi nessuna emozione è cattiva in sé stessa, ci sono emozioni che potrebbero diventare distruttive quando ci conducono a ferire noi stessi o altre persone. Allora diventano emozioni negative che ci fanno stare male, ma l’emozione in sé stessa è valida, le emozioni rendono ricca la nostra vita. Il Dalai Lama comunque ha dato una risposta diversa, lui ha detto: “Ogni emozione diventa distruttiva quando disturba l’equilibrio della mente, quando disturba la capacità di vedere le cose realisticamente”. Da questo punto di vista anche la normale ansia e la normale rabbia sono emozioni distruttive perché cambiano la nostra percezione della realtà. In effetti quando siamo presi dalla rabbia anche la nostra memoria cambia. Quando sono arrabbiato con mia moglie posso solo ricordare le cose spiacevoli che mi ha fatto in passato e che mi hanno fatto arrabbiare, non posso ricordare perché la amo o amo i miei figli, dunque la rabbia distorce la nostra comprensione della realtà, la rabbia distrugge il nostro equilibrio interno, dunque dal punto di vista del Dalai Lama anche questo tipo di emozioni ordinarie, quotidiane possono essere interpretate come distruttive.



CLAUDIO FOTI: COME E' POSSIBILE AIUTARE NOI STESSI A LIBERARCI DALLE EMOZIONI DISTRUTTIVE? POSSONO ESSERCI DI AIUTO, POSSONO SOSTENERCI LA SCIENZA O LA SPIRITUALITA' IN QUESTO PERCORSO?

DANIEL GOLEMAN: Penso che le tradizioni spirituali e la scienza possano lavorare insieme. Il Dalai Lama ha detto ad un gruppo di scienziati: “Cosa possiamo fare per le emozioni distruttive? Nel Buddismo ci sono parecchie discipline che sono state usate per migliaia di anni e che hanno avuto successo su di noi, dunque io voglio sfidarvi a prendere queste nostre discipline e portarle fuori dai contesti religiosi, testarle molto regolarmente nei vostri laboratori per verificare l’aiuto che possono dare nell’alleviare la sofferenza.” Se queste discipline possono aiutare a disattivare le emozioni distruttive, possono diventare scudi grandi quanto vuoi contro la sofferenza. Ci sono attualmente programmi scientifici in corso di sperimentazione di queste discipline che sembrano davvero promettenti. Ecco, questo è il modo in cui la scienza e la spiritualità possono lavorare insieme per aiutare l’umanità oggi.


CLAUDIO FOTI: COSA PUO' IMPARARE LA PSICOLOGIA OCCIDENTALE DALL'INCONTRO CON LA PSICOLOGIA ORIENTALE IN PARTICOLARE LA PSICOLOGIA BUDDISTA, COSA C'E' DA IMPARARE DA UNA PSICOLOGIA TEORICA E PRATICA SVILUPPATA PER MILLENNI DA GENERAZIONI DI MEDITANTI?

DANIEL GOLEMAN: Prima di tutto penso che la psicologia occidentale possa imparare dalla psicologia buddista, qualcosa che ha a che fare con il nostro narcisismo. Sono rimasto scioccato come laureato in clinica psicologica ad Harvard quando sono andato in India e ho imparato che c’era un sistema psicologico intatto, vibrante, nel buddismo, o anche in altre religioni del mondo dove compaiono riflessioni psicologiche ormai da mille o di duemila anni, ma io non ne avevo mai sentito parlare nella mia formazione. Siamo molto chiusi culturalmente in occidente, pensiamo che la psicologia sia cominciata in Europa e America qualche centinaio di anni fa, è il nostro narcisismo, il nostro orgoglio. Non è vero. È una saggezza molto più antica quella degli psicologi, ed è un beneficio quello di aprirsi al mondo da cui possiamo imparare. E qui la psicologia occidentale è abbastanza debole, se paragonata alle altre psicologie orientali.

La psicologia occidentale si occupa di psicopatologia e si chiede “Quale terapia è possibile per quel problema?”, La psicologia buddista si è da sempre occupata della sofferenza connessa ad ogni esistenza per migliorare la salute mentale di tutti. In Occidente se abbiamo un problema emotivo cerchiamo una cura o una soluzione diversa per quel problema, ma non ci occupiamo di guardare la mente e il cuore nel loro complesso per dire: “Cosa possiamo fare affinché questa persona possa avere una esperienza migliore nella sua vita nel complesso?”

L’unico modo per vivere una vita migliore è quello di allenare la propria mente: bisogna guardare alla nostra vita emotiva e mentale come un insieme di abilità che possono essere migliorate con la benevolenza e con la compassione. Il cervello è plastico e può sistematicamente migliorare con la compassione! Quando Davidson chiese ad un meditante di lunga esperienza di fare una meditazione sulla compassione il cervello di quest’ultimo, monitorato dalla risonanza magnetica funzionale, ha raggiunto il più consistente spostamento di attività dal prefrontale destro al prefrontale sinistro.

Se si guarda in laboratorio il cervello dei meditanti sulla compassione puoi vedere qualcosa di davvero interessante nel loro cervello: una volta che hai coltivato la compassione, il centro nel cervello della felicità e delle emozioni positive e dell’amore è più attivo di qualunque altro studiato in laboratorio con persone ordinarie. Qualcosa dunque può essere fatto, in altre parole, per espandere le abilità del cervello, per espandere le abilità del cuore umano in modi molto positivi: da queste pratiche la psicologia occidentale può imparare molto da quella orientale.



CLAUDIO FOTI: COLGO L'OCCASIONE PER RINGRAZIARLA ANCHE PERSONALMENTE PER IL SUO LIBRO "THE MEDITATIVE MIND", "LA FORZA DELLA MEDITAZIONE" . E’ UN LIBRO CHE MI E’ STATO UTILE IN UN PERCORSO PERSONALE DI RICERCA E DI PRATICA PER ME MOLTO SIGNIFICATIVO. PROFESSOR GOLEMAN, COS' E' LA MEDITAZIONE?, COSA PUO' FARE PER RENDERCI MIGLIORI?

DANIEL GOLEMAN: Questo è stato il mio primo libro, che ho scritto nel 1975, all’epoca non avevo ancora realizzato completamente quale era la forza della meditazione, ma adesso trenta anni dopo abbiamo risposte decisamente migliori che io posso condividere con voi. Arrivano dalle nuove scoperte che abbiamo fatto grazie al Dalai Lama nei laboratori delle neuroscienze, studiando il cervello di alcune persone dopo ore e ore di meditazione. Abbiamo scoperto che il loro cervello era diverso, la qualità mentale dell’essere di queste persone era diversa come risultato. Ormai disponiamo della risonanza magnetica funzionale, che è un’immagine del cervello con cui possiamo tramite video monitorare e fotografare attimo per attimo i cambiamenti dinamici delle varie zone del cervello.

Si è chiesto ad alcuni meditatori esperti di meditare attivando la risonanza magnetica funzionale. Sono state fatte 4 meditazioni: una sulla compassione, una sulla concentrazione, una sulla visualizzazione, e una sullo stato mentale aperto, ovvero sulla consapevolezza piena, aperta della mente. Abbiamo scoperto che per ciascuno di questi stati ci sono impronte celebrali specifiche e distinte da tutti gli altri. Se si chiede a qualcuno di sottoporsi ad una risonanza magnetica funzionale e poi gli fotografi il cervello non puoi vedere differenze rilevanti. Ma se fotografi il cervello nelle persone che stanno svolgendo un compito meditativo i centri che abitualmente sono coinvolti nella compassione o nella realizzazione diventano il 10-15% più attivi Nei meditatori esperti diventa il 100% più attivo. In questi cervelli la forza della meditazione è anche la pratica, l’allenamento della mente che ci rende più capaci di essere forti in qualunque cosa si desideri fare. Così se si pratica la compassione, proverai la compassione in maniera più intensa. Se ci si concentra, si riesce ad essere concentrati più profondamente, se anche si vuole attivare nella presenza mentale, si migliora la presenza mentale senza che altre cose possano disturbare. Questa credo sia la vera forza della meditazione.



CLAUDIO FOTI: PROFESSOR GOLEMAN, LEI HA ANCHE PARLATO PIU’ VOLTE DI COMPASSIONE: DA SECOLI NE PARLAVANO SOLO L’ETICA O LA RELIGIONE, ORA E’ UN CONCETTO DI CUI SI OCCUPA ANCHE LA SCIENZA. SONO RIMASTO COLPITO DALLA LINGUA TIBETANA CHE USA LO STESSO TERMINE PER INDICARE LA COMPASSIONE PER SE' E LA COMPASSIONE PER GLI ALTRI; NOI OCCIDENTALI E’ COME SE SENTISSIMO COMPASSIONE PER GLI ALTRI, SPESSO PENA, E POCO PER NOI STESSI

DANIEL GOLEMAN: E’ vero! Sono rimasto colpito quando il Dalai Lama ha puntualizzato come nelle nostre culture occidentali, i linguaggi non posseggono una parola che è compassione per noi stessi, mentre in Asia, in Tibet, in Sanscrito la parola che indica la compassione implica non tanto una compassione esclusivamente rivolta agli altri, ma contemporaneamente compassione per te stesso così come per gli altri. Il Dalai Lama non capiva perché noi non diamo lo stesso significato in occidente quando diciamo compassione. In un sistema familiare, succede che un punto cieco familiare invisibile per i componenti della famiglia, viene riconosciuto invece dall’esterno. Un osservatore esterno può cogliere cosa sta succedendo in quella famiglia e può farlo notare. Lo stesso vale per le parti cieche di un sistema culturale. Il Dalai Lama ci ha restituito che manca nel nostro sistema culturale un concetto e una parola che esprimano una compassione integrata verso il Sé e verso l’altro.

1 commento:

  1. Maria Giovanna Monte18 gennaio 2011 alle ore 01:41

    Grazie per aver posto l'attenzione sul tema della compassione per noi stessi. E' centrale per l'essere umano, ma è fondamentale per chi per professione si occupa del dolore.
    Maria Giovanna Monte

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