lunedì 28 ottobre 2013


LA CURA DI SE’ DELL’OPERATORE IMPEGNATO IN COMPITI DI CURA, ASSISTENZA,  EDUCAZIONE DEI BAMBINI


La cura di sé parte dall’individuazione e dal riconoscimento del proprio disagio, che chiede di trovare momenti e spazi dove essere accettato, accolto, condiviso ed elaborato.  In un gruppo di lavoro centrato sulla cura degli altri, sull’impegno di assistenza ed educazione  le fonti di disagio sono raggruppabili in tre tipologie.

1. Disagio da relazione. La relazione professionale sollecita sensi di responsabilità verso i bambini e verso i genitori, che possono risultare logoranti, emozioni i di ansia, di inadeguatezza, di incertezza, di dolore che possono essere fonte di stress. Si tratta di vissuti che non è facile  smaltire stante gli scarsi spazi di confronto e riflessione di cui gli operatori dispongono.

2. Disagio da organizzazione. Il disagio dell’operatore può essere amplificato da problematiche istituzionali e relazionali legate all’organizzazione del lavoro tra figure professionali all’interno della medesima istituzione o nella rete. L’organizzazione del lavoro,  talvolta risulta complessa, deficitaria  e condizionata da scelte istituzionali e sociali  limitanti o carenti dal punto di vista della tutela dei soggetti deboli e dell’investimento sulla relazione di aiuto.

3. Disagio da storia personale. Un’ulteriore causa di malessere per gli operatori e i professionisti che operano su situazioni di grande sofferenza può nascere dal fatto che l’intervento educativo può richiamare alla mente  esperienze personali, nel ruolo di genitore o di figlio/a, vissuti del passato, ancora doloranti in qualche angolo della mente, problematiche psicologiche e relazionali, non pienamente elaborate.

Il corso  può essere strutturato con diversi indirizzi sulla base della costruzione di un clima di comprensione e fiducia reciproca all’interno del gruppo dei  destinatari della formazione , sulla base delle domande e emergenti e  delle richieste espresse dal committente. Il corso  propone una sinergia di diverse metodologie  di cura del Sé professionale e personale. Illustriamo brevemente queste metodologie.


a.    L’intelligenza emotiva è uno strumento per far crescere:
·      l’autoconsapevolezza, ovvero la capacità dell’operatore di riconoscere, rispettare e mettere in parola le emozioni più intense incontrate nell’attività professionale;
·      la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza entrare in conflitto frontale con essi e senza neppure, tuttavia, farsene travolgere;
·      la capacità di sviluppare l’efficienza mentale e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività) al raggiungimento di obiettivi e finalità;
·      la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici;
·      la capacità di interagire positivamente con le persone, di trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi e relazionali con gli altri (utenti, colleghi ed altre figure professionali).

b.    La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Il praticante impara a cogliere e acquietare il movimento disordinato dei pensieri; nel maggiore silenzio interiore può distinguere più chiaramente quella che è la realtà da quelli che sono i suoi abituali schemi percettivi e reattivi, che distorcono la realtà e generano sofferenza.  Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e  pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction (che significa la “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”).

Le tecniche di meditazione orientali, trasformate in Mindfulness in Occidente, consentono di  allenare la mente ad alcuni principi e ad alcune pratiche che consentono di sviluppare da un lato la concentrazione, l’attenzione, la presenza mentale, dall’altro la capacità di ridurre lo stress, sviluppare il benessere psichico
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare   narcisista ed  autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.  

La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto.

c.    Il lavoro autobiografico punta a promuovere e valorizzare le storie di vita, le condizioni e i processi cognitivi che consentono il racconto di sé attraverso la scrittura in una prospettiva auto- formativa e riflessiva. La pratica narrativa autobiografica permette di ricostruire e ripercorrere le esperienze in un contesto narrativo, vuoi favorendo una memoria legata alla narrazione obiettivante di situazioni passate, vuoi come possibilità soggettiva di rivivere quelle situazioni. Per consentire apprendimenti e cambiamenti il pensiero autobiografico deve stimolare processi autocognitivi che esigono una distanziamento da se stessi cioè la possibilità di dividersi senza perdersi, per potersi guardare.

A queste tre metodologie se ne affiancano delle altre che in qualche misura possono essere integrate in un percorso di cura di sé a seconda dei processi di maturazione di un gruppo di lavoro o di formazione.

d.    Lo psicodramma (termine derivato da psiche = anima/mente e drao = agisco) indica un approccio psicologico che esplora i contenuti mentali attraverso l'azione e la rappresentazione simbolica. La realtà psicologica del soggetto può essere esteriorizzata e meglio compresa attraverso la drammatizzazione delle diversi parti e dei diversi ruoli presenti nella mente e nella vita dell'individuo. È un metodo di sviluppo personale in gruppo e di gruppo che facilita, grazie alla concretizzazione scenica, lo stabilirsi di un intreccio armonico tra le esigenze interne m le richieste della realtà, e porta alla riscoperta ed alla valorizzazione della propria spontaneità e creatività.
Lo psicodramma consente di definire tecniche di rielaborazione dell'infanzia rimossa derivano da un approccio integrato alla psicoterapia del trauma e sono state applicate in ambito terapeutico e, con gli opportuni adeguamenti, in contesto formativo, nell'esperienza del Centro Studi Hansel e Gretel. Queste tecniche mirano a sollecitare l'incontro con il bambino interiore che vuole piangere, che vuole comunicare l’impotenza vissuta, che vuole protestare, che vuole esprimersi: mirano a favorire il confronto con i ruoli, le sofferenze, le istanze trasformative della dimensione infantile che vive nella mente dell'adulto e che continua a rivendicare ascolto, rispetto e considerazione.

e.    Se lo psicodramma consente di dare voce al bambino interiore sofferente, la ludopsicologia   consente di dare espressione al bambino interiore che vuole giocare ed aprirsi agli altri con giocosità e creatività.  Nella ludopsicologia il gioco si presenta in modo molto semplice ed è possibile risperimentare l’entusiasmo del gioco infantile, le sue potenzialità di divertimento  e di sperimentazione di nuove possibilità, di crescita.
La ludopsicologia prende avvio da tecniche pedagogiche, tra le quali la ludopsicologia che è il risultato di una ricerca iniziata vent'anni fa in Uruguay, nel contesto delle dittature militari dell’America Latina, quale strategia di promozione della partecipazione. Si tratta di  una metodologia pedagogica che vuole riscattare la dimensione socio-affettiva, l’importanza della relazione, della soggettività, della corporeità, dell’allegria e del piacere – connesse al gioco - come fonti e riserve inesauribili ed ancora vergini di conoscenza e di espressione di sé con potenzialità di applicazione didattica,  metodologica e sociale.
Nella nostra prospettiva la ludopsicologia  va oltre l’aspetto pedagogico per potenziare gli aspetti di ascolto e cura di  sé, delle parti giocose non spente dell’adulto e gli aspetti di  comprensione,  trasformazione ed elaborazione psicologica dell’individuo e del gruppo,  presenti nel gioco infantile. Si tratta di azionare le capacità del gruppo per mettere in relazione il percorso ludico proposto con le emozioni incontrate, con i significati da scoprire, con gli apprendimenti possibili e con l’elaborazione dei ricordi infantili, con la consapevolezza delle dimensioni soffocate del Sé.
La ludopsicologia è basata non solo sul recupero del gioco infantile, con la sua freschezza e vitalità, ma anche con l’elaborazione psicologica, emotiva e riflessiva, che ne può derivare: in quest’ottica può aiutare molto gli operatori impegnati nell’accudimento e nella cura dei più piccoli ad esprimere se stessi e a prendersi cura di sé.
  
Proponiamo un’integrazione teorica e metodologica in particolare tra i primi  tre approcci: l’intelligenza emotiva, le tecniche di autobiografia, la pratica di meditazione, a partire dall’idea  dell’esistenza di sei principi che accomunano queste tecniche. Anche lo psicodramma, le tecniche di rielaborazione dell’infanzia rimossa e la ludopsicologia  possono essere utilizzate in questa prospettiva integrativa possono essere integrati tenendo conto del percorso di crescita e condivisione di uno specifico gruppo di lavopro o di formazione.   

L’intelligenza emotiva, le tecniche di autobiografia, la pratica di meditazione:

1)    sono forme di cura di sé:

·         con la meditazione ci si prende cura di due funzioni mentali: la concentrazione e la consapevolezza. Attraverso la meditazione il prendersi cura della mente avviene senza operare una scissione rispetto al corpo: ci si prende cura, infatti, della possibilità di rilassarsi nel miglior modo possibile;
·         l’intelligenza emotiva è prendersi cura dell’aspetto più prezioso del sé l’emozione;
·         la cura autobiografica di sé consiste nel recuperare e utilizzare ricordi, saperi, nessi, architetture esistenziali per ri-costruire la propria identità, per scoprire la propria unicità, per dare senso alla propria storia;

2) presuppongono un fermare l’agire:

se non si esce, anche solo  temporaneamente, dalla logica della prestazione, non si troverà mai il tempo per meditare, per riflettere sui sentimenti, per fermarsi a scrivere. Prendere tempo per pensare è la cosa che accomuna i tre approcci;

2)    richiedono concentrazione e disciplina:

nel caso della meditazione proprio la concentrazione è un punto fondamentale dell’attività, è necessario evitare che la mente vaghi tra innumerevoli pensieri e immagini, concentrando, ad esempio, l’attenzione sul respiro, sul corpo. Anche fermarsi su una unica emozione, darle un nome è un lavoro di concentrazione; e la scrittura, è intuitivo, necessita di notevole concentrazione.

4) Necessitano di una guida:

è vero che il soggetto, con il tempo, impara a camminare con le sue gambe, a leggere le proprie emozioni, a far meditazione da solo, a far l’autobiografia da solo, ma queste tre tecniche presuppongono una relazione asimmetrica, una guida, un conduttore, qualcuno che sia più avanti nel cammino e sia in grado di facilitare il processo di crescita e di apprendimento nella specifica disciplina;

5) Inducono il confronto con l’altro:

non c’è solo una relazione asimmetrica maestro-allievo, ma anche una relazione tra pari, con altre persone, in un gruppo dove si può imparare qualcosa mediante la condivisione, la coralità, l’espressione dei vissuti emotivi. È importante sottolineare come il confronto con l’altro presupponga l’empatia. L’empatia è un ingrediente che consente alla relazione tra la guida e l’allievo di non essere autoritaria e aiuta nel rapporto col gruppo a frenare la competizione, la distrazione, il giudizio e a favorire il lavoro;

6) favoriscono l’acquisizione di consapevolezza:

a diversi livelli e con aspetti specifici queste tre metodologie (come anche il metodo analitico) mirano a potenziare quella funzione complessa, misteriosa e straordinaria che è la consapevolezza e possono avere esiti inefficaci o mistificanti quando viene tradita la finalità strategica del potenziamento di tale funzione.



giovedì 10 ottobre 2013

MEDITAZIONE E CURA DI SE’ PER GLI OPERATORI IMPEGNATI NELLA RELAZIONE DI AIUTO


Foto: MEDITAZIONE E  CURA DI SE’ PER GLI OPERATORI IMPEGNATI NELLA RELAZIONE DI AIUTO 
La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e  pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction che significa “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”). 
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare  narcisista ed autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.   
La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto. 
Scrive Thich Nhat Hanh: “Molti di coloro che fanno professioni d’aiuto – dottori, infermieri, operatori sociali, psicoterapisti, insegnanti – vengono messi in difficoltà dal proprio dolore personale: a volte stanno male e non sanno come fare a riconoscere e trasformare la propria sofferenza. Da un lato hanno il desiderio di contribuire ad alleviare la sofferenza degli altri, dall’altro però non sanno ancora prendersi cura del proprio dolore personale. In ogni scuola o corso per assistenti o operatori sociali, per medici o per infermieri, insegnanti e avvocati, la pratica della presenza mentale e della cura di se stessi dovrebbe far parte del programma di studi, non solo a scopo informativo intellettuale ma come elemento della vita quotidiana degli studenti. Tutti loro trarrebbero un profitto personale dallo studio e dalla pratica della presenza mentale e renderebbero agli altri un servizio migliore. In una società davvero civile, ogni scuola per professioni d’assistenza dovrebbe insegnare la pratica della presenza mentale.”  (Thich Nhat Hanh, L’unica nostra arma è la pace)  

In conclusione le tecniche meditative aprono diversi e promettenti sentieri verso una crescita delle competenze di ascolto e di attenzione verso se stessi e verso gli altri. 
(Per un approfondimento cfr. il BLOG “Cura di Sé e meditazione” nel sito www. cshg.it)

La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Il praticante impara a cogliere e acquietare il movimento disordinato dei pensieri; nel maggiore silenzio interiore può distinguere più chiaramente quella che è la realtà da quelli che sono i suoi abituali schemi percettivi e reattivi, che distorcono la realtà e generano sofferenza.  Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction (che significa la “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”).
Le tecniche di meditazione orientali, trasformate in Mindfulness in Occidente, consentono di  allenare la mente ad alcuni principi e ad alcune pratiche che consentono di sviluppare da un lato la concentrazione, l’attenzione, la presenza mentale, dall’altro la capacità di ridurre lo stress, sviluppare il benessere psichico
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare   narcisista ed  autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.  
La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto.
Scrive Thich Nhat Hanh, monaco buddista vietnamita che anima un importante movimento buddista in Occidente :  “Molti di coloro che fanno professioni d’aiuto – dottori, infermieri, operatori sociali, psicoterapisti, insegnanti – vengono messi in difficoltà dal proprio dolore personale: a volte stanno male e non sanno come fare a riconoscere e trasformare la propria sofferenza. Da un lato hanno il desiderio di contribuire ad alleviare la sofferenza degli altri, dall’altro però non sanno ancora prendersi cura del proprio dolore personale. In ogni scuola o corso per assistenti o operatori sociali, per medici o per infermieri, insegnanti e avvocati, la pratica della presenza mentale e della cura di se stessi dovrebbe far parte del programma di studi, non solo a scopo informativo intellettuale ma come elemento della vita quotidiana degli studenti. Tutti loro trarrebbero un profitto personale dallo studio e dalla pratica della presenza mentale e renderebbero agli altri un servizio migliore. In una società davvero civile, ogni scuola per professioni d’assistenza dovrebbe insegnare la pratica della presenza mentale.”  (Thich Nhat Hanh, L’unica nostra arma è la pace

La tecniche di meditazione in effetti sono particolarmente efficaci per coloro che sono impegnati nella relazione d’aiuto. La relazione professionale  con utenti portatori di forte disagio è notoriamente fonte di stress, dovuto all’impatto con emozioni intense e logoranti di impotenza, dolore, ansia, rabbia, confusione, colpa… che non è facile smaltire stante gli scarsi spazi di confronto e riflessione di cui gli operatori dispongono. Il disagio dell’operatore può essere amplificato da problematiche istituzionali e relazionali legate all’organizzazione del lavoro spesso deficitaria e condizionata da politiche sociali spesso carenti dal punto di vista della tutela dei soggetti deboli e dell’investimento sulla relazione di aiuto. Un’ulteriore causa di malessere per gli operatori e i professionisti che operano su situazioni di grande sofferenza è data dal fatto che l’intervento può riattivare esperienze personali sofferte del passato, ancora doloranti in qualche angolo della mente, problematiche psicologiche e relazionali, non pienamente elaborate.

In conclusione le tecniche meditative aprono diversi e promettenti sentieri verso una crescita delle competenze di ascolto e di attenzione verso se stessi e verso gli altri.

lunedì 7 ottobre 2013

 L’abbuffata dei piccoli

L’alimentazione dei bambini è una delle forme in  cui si manifesta la trascuratezza di noi genitori e della comunità adulta.

Scrive Fuhrman in “Eat to live”, (Macroedizioni): C'è una generale resistenza al cambiamento. Sarebbe più facile se le abitudini alimentari insalubri e l'importanza scien­tifica della nutrizione ci venissero inculcate già da bambini. Sfortunatamente i bambini non hanno mai mangiato così male come avviene oggi. La maggior parte degli americani non è consapevole che i cibi somministrati ai bambini garantiscono un elevato rischio di can­cro nel corso della loro vita13. Non immaginano nemmeno che quei pasti da fast-food possono essere pericolosi tanto quanto (o anche di più) permettere ai figli stessi di fumare sigarette.
Non permettereste mai ai vostri figli di sedersi a un tavolo fumando sigari e bevendo whiskey, perché non è socialmen­te accettabile, ma permettete loro di consumare regolarmente Coca-cola, cibi fritti in grassi trans e cheeseburger. Molti bam­bini mangiano bomboloni, dolci, brioches e caramelle ogni giorno. È difficile per i genitori comprendere che il consumo di questi cibi porta alla distruzione lenta e insidiosa del poten­ziale genetico dei loro figli e getta le basi per gravi malattie.
Ritengo sia irrealistico essere ottimisti riguardo la salute e il benessere delle generazioni future quando si è di fronte a un aumento senza precedenti del peso medio dei bambini in questo Paese e a livelli record di obesità infantile. Basti vedere quanto sono inquietanti i risultati del Bogalusa Heart Study del 1992, che ha raccolto i dati delle autopsie effettuate su bambini rimasti vittima di morti accidentali. Lo studio ha con­fermato l'esistenza di placche e depositi di grasso (il primo passo verso l'aterosclerosi) nella maggior parte dei bambini e degli adolescenti16! Ecco la conclusione dei ricercatori: «Que­sti risultati sottolineano la necessità di una cardiologia preven­tiva in età precoce». Ritengo che cardiologia preventiva sia un termine involuto per intendere un'alimentazione sana. Un altro studio basato sulle autopsie e apparso sul «New England Journal of Medicine» ha concluso che più dell'85% degli adulti tra i 21 e i 39 anni presenta già modificazioni aterosclerotiche nelle arterie coronariche17. Gli strati di grasso e le placche fibrose ricoprivano gran parte delle arterie coro­nariche. Tutti sanno che il cibo spazzatura non è sano, ma po­chi comprendono le conseguenze che ne derivano - malattie gravi potenzialmente letali. Chiaramente l'alimentazione che seguiamo da bambini ha una grandissima influenza sulla no­stra salute futura e anche su un'eventuale morte prematura.
Ci sono dati significativi che suggeriscono come l'ali­mentazione nell'infanzia abbia un impatto, sulla successiva incidenza di certi tipi di cancro, maggiore di quella che ha un'alimentazione inadeguata se seguita in età più avanzata.
Si legge nel China Study” (T. Colin Campbell e Thomas M. Campbell II,  Macroedizioni), il più grande studio sul rapporto tra alimentazione e prevenzione delle malattie: Da qualunque punto di vista la si consideri, la salute degli americani sta venendo meno. La nostra spesa pro capite in assistenza sanitaria è di gran lunga superiore a quella di qualsiasi altra società nel mondo, eppure due terzi degli americani sono sovrappeso, e più di quindici milioni di nostri connazionali soffrono di diabete, una cifra in rapido aumento. Siamo afflitti dalle cardiopatie con la stessa frequenza di trent'anni fa, e la guerra al cancro lanciata negli anni Settanta del Novecento si è rivelata un insuccesso clamoroso. Metà della popolazione americana ha un problema di salute che richiede l'assunzione una volta alla settimana di un farmaco prescritto dal medico, e più di cento milioni di statunitensi hanno il colesterolo alto.
A peggiorare le cose, stiamo conducendo i nostri giovani verso un baratro di malattia, di cui cadono vittime in sempre più tenera età. Un terzo dei bambini di questo paese è sovrappeso o a rischio di diventarlo. I nostri piccoli sono afflitti con sempre maggior frequenza da una forma di diabete che un tempo veniva riscontrata solo negli adulti, e assumono più farmaci con obbligo di ricetta di quanto sia mai successo nel passato.
Tutti questi problemi si riducono a tre fattori: colazione, pranzo e cena.