martedì 26 maggio 2009

DUE DUBBI SULLA MEDITAZIONE

Iniziamo con due dubbi. Due domande che ci sono state poste sul tema della meditazione...

Non capisco. Cosa c’entra la meditazione in un discorso come quello che fate sull’infanzia da proteggere e sull’abuso sessuale sui bambini da smascherare. Psicologia meditativa? Non sarebbe possibile trovare un altro nome? La parola meditazione mi ricorda l’ipocrisia della Chiesa, le prediche dei preti, la loro morale sessuale rigida e colpevolizzane, che poi è la principale responsabile delle pratiche di pedofilia, diffuse nei collegi e negli istituti religiosi, nei seminari, nelle attività pastorali di non pochi sacerdoti … Come la mettiamo?


Innanzitutto la parola. In effetti la parola meditazione è carica di significati ed evocazioni, molto differenziati ed anche ambigui nella nostra cultura. La meditazione nella cultura cristiana è un’attività che il soggetto esercita nell’ambito di un impegno religioso e che lo sollecita a concentrarsi e a riflettere su un determinato argomento, attinente alle verità della fede. Si tratta dunque di un’attività religiosa e che attiva in modo rilevante, anche se non esclusivo, la dimensione intellettiva del meditante. Nella cultura orientale la meditazione è un’attività, legata a diverse tradizioni religiose e scuole di pensiero, che mira a favorire le funzioni di concentrazione e di consapevolezza, presenti nell’apparato psichico in un’ottica non necessariamente legata ad una fede in una qualche trascendenza. La meditazione, così come è intesa dalle psicologie orientali, può diventare uno strumento particolarmente efficace per contrastare il disagio psichico, per garantire la vitalità e l’energia dell’apparato psichico, per sviluppare le potenzialità salutari e benefiche della mente, per sviluppare la piena coscienza (mindfullness, dicono gli inglesi) della realtà interna ed esterna al soggetto, al di fuori di logiche illusorie nevrotizzanti o deprimenti.
Comunque caro Gino, bisogna sapere andare al di là delle parole per vivere, interrogare e comprendere le esperienze. Che vanno colte per ciò che sono e non per ciò che comprensibilmente possono evocare. Che vanno conosciute direttamente e con la mente sgombra da pregiudizi o da nessi associativi inquinanti o distorcenti. La meditazione va sperimentata, facendo molta attenzione alla base culturale che la sottende, alla serietà e al rigore di chi la propone, come peraltro è opportuno fare per qualsiasi proposta di matrice psicologica o etica, di matrice occidentale od orientale.
Quanto ai preti pedofili sono la personificazione di un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello che il percorso di sviluppo dell’autoconsapevolezza analitica e meditativa sollecita: deficit assoluto di consapevolezza sulla propria infanzia inascoltata ed umiliata, mancanza di un locus interno di controllo, uso sistematico della scissione di personalità, carenza gravissima nell’autocontrollo delle emozioni e delle pulsioni, visione strumentale delle relazioni interpersonali, disprezzo per le potenzialità di cura di sé e di affettività della mente umana. Dunque perversione e meditazione (nell’ottica della psicologia orientale e della stessa psicologia occidentale che sta dialogando con quella orientale) sono radicalmente alternative. (Claudio Foti)

-----------------------------------------------------------------------------------

Ho sentito alla televisione che i due Beatles ancora viventi Ringo Starr e Paul MacCartney hanno fatto un concerto negli Usa per raccogliere fondi a favore di una campagna per la diffusione della Meditazione Trascendentale nelle scuole. E’ dunque possibile proporre la meditazione nelle sue diverse varianti ai bambini. Anche a quelli che vivono situazioni di disagio in famiglia? Con che risultati? Ma i bambini non sono troppo agitati per un’attività meditativa? Che cosa ne pensate?

Cara Clara, esistono tanti modelli di meditazione e credo che molti di loro si prestino ad essere proposti ai bambini, per placarne l’irrequietezza e per favorirne le potenzialità mentali e relazionali. Le rispondo in particolare riportando cosa mi ha detto Daniel Goleman ad una mia domanda nell’intervista che mi ha concesso in occasione del Convegno “Sofferenza del bambino ed intelligenza emotiva”.
CLAUDIO FOTI: LA CALMA E’ FONDAMENTALE: FINCHE' NON SIAMO CALMI NON SI PUO’ PENSARE. OLTRE AD INSEGNARLA A NOI STESSI COME LA SI PUO’ INSEGNARE AI BAMBINI?
DANIEL GOLEMAN : In effetti la calma è un’abilità fondamentale da imparare: se i bambini vogliono diventare bravi nell’apprendere a scuola , hanno bisogno di essere capaci di gestire quelle emozioni che li rendono turbati. Prima dunque di parlare della calma penso che sia necessario parlare di cosa rende i bambini turbati, cosa li rende angosciati, cosa li rende agitati. Questo è il ricorrente problema che ha ogni persona nella propria esistenza. Dunque la prima cosa da fare per il bambino è tentare di risolvere i problemi più grandi a scuola, nella famiglia, ovunque essi siano a disturbare il bambino; il passo numero due è di aiutare il bambino a vivere il suo problema quando nulla possa essere cambiato, ed insegnargli ad diventare capace di essere calmo e chiaro. Questo significa educazione interiore non solo nella gestione delle emozioni ma nel prestare attenzione, le due cose due vanno mano nella mano. Infatti il modello con cui funziona il cervello è questo: se sei emozionato, preoccupato o ansioso, se non riesci a mettere fuori dalla tua mente quello che è accaduto questa mattina, non puoi prestare attenzione perché quei pensieri intrudono. Ciò che è accaduto questa mattina influenza il presente e sono le tre di pomeriggio: quando dovresti prestare attenzione alla lezione di matematica stai invece pensando e ti stai preoccupando a cosa è accaduto ieri sera o questa mattina. Allora quello che si può fare per i bambini prima di tutto tentare di cambiare la situazione esternamente se è possibile, e secondo dare loro la forza interiore per poter vivere quello che sta accadendo loro, e loro potranno gestire meglio ogni situazione se sono insegnate le abilità dell’intelligenza emotiva nel gestire le emozioni che si presentano.
Negli Stati Uniti e in alcuni stati europei ci sono alcune scuole che si stanno diffondendo che propongono semplici corsi sulla consapevolezza, un semplice corso di meditazione: la forza delle capacità di attenzione allo stesso tempo calma il corpo, dunque la consapevolezza non è molto di più che fare attenzione al respiro e lasciare andare i pensieri, dare ai bambini una educazione critica che non è molto di più rispetto a conoscere il proprio respiro e lasciare andare i pensieri che distraggono e tornare indietro al punto neutro e calmante del focus di attenzione. E ripetere gli esercizi rinforza il sistema cerebrale che può aiutare i bambini a gestire le emozioni disturbanti, dunque questo è un altro passo nei programmi della scuola che possono dare ai bambini il regalo della calma. (Claudio Foti)

venerdì 22 maggio 2009

salve,
sono una lettrice del sito e della newsletter

Leggendo i contributi sulla meditazione, mi chiedevo se conoscete Luigi Lombardi Vallauri
e le sue meditazioni laiche
non so se si sia mai occupato di bambini o se abbia mai pensato a una meditazione adatta ai bambini
ma ho pensato che potesse essere un riferimento importante.

è solo un'associazione che ho fatto,
un saluto affettuoso,
diana corsini

lunedì 18 maggio 2009

SEMINARIO SULLA CONSAPEVOLEZZA Claudio Foti

22 marzo 2003

Il tema della consapevolezza verrà affrontato secondo vertici di osservazione differenti a seconda dei quattro percorsi formativi a cui questo seminario darà avvio.
Il termine “consapevolezza” evoca nella sua etimologia (cum sapere) il riferimento ad un cum, ad un insieme, ad una relazione e ad una socialità, senza la quale la conoscenza profonda a cui la consapevolezza rinvia non può avvenire.
Il primo vertice di prospettiva da cui possiamo analizzare la consapevolezza è rappresentato dal gruppo. Nel gruppo si può favorire la consapevolezza, anche se quest’ultima è un impegno mentale che trova il suo luogo elettivo nella mente del soggetto. La consapevolezza si avvantaggia della relazione, ha bisogno di nutrimento tramite il contatto con una dimensione gruppale. Il tema della consapevolezza potrà essere considerato dal punto di vista del gruppo e di tutti coloro che sono interessati ad apprendere tecniche di conduzione. Il gruppo viene pensato come luogo di crescita della consapevolezza, prendiamo come esempio il gruppo di formazione.
Un altro vertice osservativo è rappresentato dall’ascolto. Noi siamo impegnati in professioni d’aiuto, gran parte di voi partecipa a questo incontro per imparare tecniche di ascolto, per acquisire informazioni sugli interlocutori bambini-adolescenti, al fine di comprenderli meglio.
L’ascolto è un impegno mentale, relazionale tutt’altro che scontato, utile per sviluppare la consapevolezza circa le autentiche comunicazioni riferite da un altro soggetto, ad esempio un soggetto bambino che adotta modalità espressive non sempre chiare, non veicolate dal linguaggio verbale.
Il terzo vertice osservativo utile per affrontare il tema della consapevolezza corrisponde a quello dell’intelligenza emotiva. Quest’ultima è una proposta culturale, teorica, ma anche un impegno emotivo-relazionale finalizzato a coniugare l’intelligenza con la vita emotiva innanzitutto nell’adulto (educatore, genitore, professionista dell’infanzia-adolescenza); intelligenza intesa come crescita di una consapevolezza risultante dall’integrazione di parti differenti del soggetto umano: parti razionali e parti affettive. Quindi assumiamo l’intelligenza emotiva come una prospettiva d’impegno che aumenta la consapevolezza delle diverse componenti della mente, delle differenti forme di intelligenza. Infatti, non esiste solo un tipo di intelligenza legato al quoziente intellettivo studiato dalla psicologia tradizionale, ossia l’intelligenza legata alle operazioni logiche, all’astrazione, al calcolo, alla memoria. Invece, esistono differenti forme di intelligenza alla base della teoria dell’intelligenza multipla, teoria elaborata negli anni Ottanta dal pedagogista Gardner.
Secondo questa teoria, i bambini non vanno valutati soltanto sulla base di un unico tipo di intelligenza, ma essi possono esprimere varie forme di intelligenza. Non esiste soltanto l’intelligenza logico-matematica misurata dal Quoziente Intellettivo. Ad esempio esistono l’intelligenza musicale, l’intelligenza artistica, l’intelligenza cenestesica: quest’ultima per es. è un tipo di intelligenza che può produrre l’armonia tra la mente e il corpo, utile ad un danzatore che può esprimere al meglio le proprie capacità. Poi vi sono l’intelligenza relazionale, ovvero interpersonale ed infine l’intelligenza intra-psichica. La teoria dell’intelligenza emotiva è stata sviluppata negli anni Novanta da Daniel Goleman e consente di ampliare la comprensione della funzione psichica della consapevolezza.
Esiste un quarto vertice di osservazione da cui possiamo considerare il tema della consapevolezza: è stato approfondito non già dalla psicologia occidentale che è una scienza tutto sommato giovane, bensì dalle psicologie orientali. Daniel Goleman autore del bestseller “L’intelligenza emotiva”, scritto nel 1995 e pubblicato in Italia dallo stesso autore nel 1996, ha lavorato per anni con un gruppo di scienziati, psicologi, studiosi di scienza cognitiva e del comportamento, biologi, che a partire dagli anni Settanta si è impegnato nei seminari “Mind and Life” in una discussione, che aveva l’intento di confrontare l’approccio scientifico occidentale al funzionamento della mente umana con l’approccio della cultura orientale. Tale ricerca ha evidenziato le potenzialità non sfruttate della mente umana e ha analizzato le tecniche di sviluppo della consapevolezza con particolare riferimento alle tecniche meditative di matrice buddista, soffermandosi sul rapporto tra il metodo della meditazione e il funzionamento psichico dell’individuo.
E’ significativo che Goleman abbia elaborato la sua teoria prendendo spunto dalla sua tesi di laurea, centrata sulle caratteristiche teoriche e metodologiche delle diverse tecniche di meditazione, che si ritrovano nelle diverse psicologie orientali. Queste differenziazioni ricordano per alcuni versi quelle analoghe della psicologia occidentale, tra teorie e tecniche psicoterapeutiche di matrice diversa: comportamentista, cognitivista, psicoanalitica, ecc…. Le psicologie orientali, in due-tre millenni di di storia e di elaborazione si sono articolate in diversi filoni di ricerca, in diversi modelli meditativi, in differenti categorie e tecniche a secondo dei diversi modelli culturali e religiosi a cui si sono appoggiate. Comunque al di là di queste differenze, compaiono nelle tecniche meditative alcuni temi e alcuni principi comuni.
In sintesi, cercheremo di avvicinarci ad un tema particolarmente complesso e sfaccettato che potrà essere inquadrato da tanti punti di vista: infatti, questo seminario raccoglie corsisti che approfondiranno quattro percorsi formativi differenziati. Verrà fatta un’esperienza di gruppo, avremo la possibilità di riflettere su ciò che accade nel gruppo e quindi questo costituirà un avvio del tema che interessa alle persone iscritte al corso sulla conduzione di gruppo, ossia il rapporto esistente tra la crescita del gruppo e la crescita della consapevolezza.
La consapevolezza, come già detto, è un impegno che parte dal soggetto, ma che può riverberarsi nell’aumento della capacità di ricezione delle informazioni provenienti da un altro soggetto. Quindi, nuovamente una capacità di ascolto, e l’ascolto può essere considerato come crescita della consapevolezza circa i bisogni, le esigenze, le comunicazioni che l’altro ci trasmette.
Analizzeremo anche il rapporto molto stretto tra sviluppo dell’intelligenza emotiva e sviluppo della consapevolezza; inoltre, ci confronteremo con le suggestioni e gli insegnamenti potenziali derivanti dalla psicologia orientale. Tali suggestioni ed insegnamenti possono essere elaborati per una loro utilizzazione all’interno del nostro contesto culturale, a seconda degli obiettivi che vogliamo raggiungere. Tutto ciò verrà effettuato in un’ottica del tutto laica; ogni contributo dato alla conoscenza dell’umanità va ascoltato, interrogato, elaborato, utilizzato, se contiene qualcosa di valido.
Gli studiosi che, a partire dagli anni Settanta, hanno portato avanti incontri di ricerca tra scienziati occidentali e monaci tibetani, studiosi del pensiero occidentale si sono posti il problema di ricavare dalle pratiche meditative delle indicazioni che possono essere adoperate a tanti livelli, ad esempio sul piano della prevenzione e della cura delle malattie. Al riguardo, il centro clinico dell’università di Massachuttes, in particolare la clinica della riduzione dello stress, da diversi anni ha impostato dei programmi terapeutici basati sui corsi di apprendimento di tecniche meditative, rivolte a pazienti che hanno problemi di salute di vario genere: soggetti che hanno disturbi cardiovascolari, malati che hanno necessità di imparare a sopportare terapie antidolorifiche e l’aggravamento di certe malattie come il cancro e l’AIDS, pazienti che hanno disturbi di insonnia o di cefalea oppure con disturbi derivanti da un calo consistente delle difese immunitarie (cfr. D. Goleman, Le emozioni che guariscono. Conversazioni con il Dalai Lama, Mondadori). All’interno di questi corsi vengono proposte delle metodologie in una logica definibile “buddismo senza buddismo”: a tutti questi pazienti non avrebbe alcun senso proporre tecniche di questo tipo strettamente associate a concetti della cultura orientale, magari presentandosi a loro con i capelli rasati e con gli abiti di foggia indiana. Tutto ciò indebolirebbe l’efficacia di una proposizione tecnica che può essere verificata indipendentemente da quello che è stato il contesto di origine di queste tecniche: quest’ultime possono essere sperimentate per quello che sono e per quello che valgono, e all’interno di un contesto clinico possono produrre degli effetti positivi, se sono sufficientemente accettate, sperimentate con quel rapporto di fiducia necessario alla validazione di qualsiasi tipo di tecnica terapeutica. Quindi, ci avvicineremo a queste tematiche tramite la loro sperimentazione diretta, valutando in che misura esse possono essere uno strumento di chiarificazione concettuale e di sviluppo pratico di elementi di consapevolezza.

STRALCI DELL'INTERVENTO DI ANNE OVERZEE SUL TEMA “PSICOTERAPIA MEDITATIVA” AL CONVEGNO “INTELLIGENZA EMOTIVA E SOFFERENZA DEL BAMBINO”

Stralci dell’intervento di ANNE OVERZEE Sul tema “PSICOTERAPIA MEDITATIVA” al convegno “INTELLIGENZA EMOTIVA e SOFFERENZA DEL BAMBINO”

Buongiorno … vorrei invitare tutti ad iniziare questa sessione con un paio di minuti di silenzio. Molte cose si sono verificate in questa sala in questi giorni e quindi possiamo permettere a questa sala di contenerci e quindi, magari, possiamo riposarci nel silenzio per qualche istante … quindi vi chiedo di mettervi comodi, sentire i vostri piedi sul terreno… permettete alle vostre mani di rilassarsi, lasciate andare i fogli che avete, tanto per ora non vi servono … tra un istante anch’io smetterò di parlare, quindi per ora non c’è niente da fare, possiamo semplicemente essere qua … e se vi risulta utile mentre respiriamo – Ispiriamo ed espiriamo - permettiamoci di accogliere, di ricevere la nostra presenza, permettiamoci di essere alimentati in qualche modo, e quando respiriamo permettiamo alla bontà di entrare dentro di noi … e quando espiriamo lasciamo che questa bontà possa liberarsi e raggiungere altre persone in questa sala. Possiamo tenere gli occhi aperti o chiusi, come meglio credete … e quindi qualche istante di silenzio…
………………………………………………………………………………………………………….
Vi ringrazio …
Non so quanto spesso voi vi impegniate in questo esercizio…E’ così importante, quando si lavora con altre persone, poter trovare dei modi per ricaricarci, mentre è così facile esaurirsi. E’ molto importante per noi trovare dei modi per recuperare le nostre risorse in un modo molto profondo. Lavoro presso l’Istituto Karuna in Inghilterra. In sanscrito la parola karuna significa “compassione”. Noi facciamo formazione per gli psicoterapeuti in un modo molto innovativo, in quanto la nostra formazione si fonda su principi buddisti della conoscenza del sé e sulle pratiche buddiste, che riguardano lo sviluppo della consapevolezza. Abbiamo integrato questi principi e queste pratiche alla teoria dello sviluppo occidentale. Siamo stati noi stessi stupiti di quante psicologi siano interessati a questo tipo di formazione. Ci stupisce perché siamo ancora un istituto molto piccolo. Abbiamo un bellissimo team, una splendida équipe di formatori: tutti chiaramente sono stati formati sulla base di questo approccio e abbiamo appreso moltissimo dai nostri fondatori. In Inghilterra siamo il primo istituto di formazione psicoterapeutica buddista, il primo a far parte del Consiglio per la psicoterapia del Regno Unito: quindi abbiamo un riconoscimento nazionale. Un chiarimento per coloro che sono coinvolti nell’ambito della psicoterapia, non parlo di psicoanalisi: noi facciamo parte di quella parte del Consiglio matrice umanistica e integrativa, anche se abbiamo molti collegamenti con coloro che utilizzano la teoria dell’attaccamento. Seguiamo attentamente le ricerche svolte da Goleman…
Oggi non vi parlerò dei contenuti della nostra formazione, invece vorrei parlare di qualcosa che, mi auguro, possa essere importante per ciascuno di voi, possa avere rilevanza per ognuno di voi. Si tratta di un qualcosa che noi abbiamo imparato negli ultimi venticinque-trent’anni in cui abbiamo lavorato per fornire formazione agli psicoterapeuti … si tratta di come generare un campo relazionale che possa creare una sicurezza e un contenimento affinché due persone, lo psicoterapeuta e il cliente, possano stare assieme in una relazione di cura … un campo relazionale che favorisce il benessere, un campo relazionale che sia adatto a poter lavorare con le difficoltà e sulle difficoltà …
Quando parlo di benessere, che cosa intendo?
Alla stazione ferroviaria di Londra ieri, in un negozio di libri, c’era un’intera sezione che riportava il titolo “benessere”, credo che sia una moda di questi giorni … quindi questi libri sul benessere parlavano di diete, di come vestirsi, di come divertirsi e in un altro negozio, sempre nella stessa stazione ferroviaria, il “body-shop”, c’era un’intera categoria di prodotti dedicati al benessere, e quindi prodotti a base di lavanda, aroma-terapia…forse quello che intendo io per benessere è un po’diverso, ma in qualche modo collegato.
Nel contesto della relazione interpersonale, quando si parla del benessere, si tratta della risposta di un essere in termini di sentimenti positivi nel provare un campo di accettazione, di risonanza, di corrispondenza.
Quindi, per chiarire, come si può creare un campo relazionale che possa condurre al benessere? Io suggerisco che si possa fare, coltivando da parte del terapeuta la presenza mentale, una presenza profonda, capace di garantire il contatto con le emozioni, le sensazioni, i pensieri, le immagini mentali, capace di garantire l’accettazione, il riconoscimento e il superamento delle tendenze all’avversione e delle tendenze al controllo presenti nella mente umana. Come si può dunque creare un campo contenitivo, empatico in cui il contatto tra esseri umani è veramente possibile, affinché la persona con la quale ci troviamo in relazione si senta veramente vista, accolta, incontrata? Vi do qualche breve immagine su come si impara a praticare la presenza mentale. Per migliaia di anni i buddisti hanno imparato a praticare la presenza mentale, portando una consapevolezza senza giudizio non soltanto al proprio corpo, ma anche dentro il proprio corpo. L’antica istruzione meditativa tende a favorire una consapevolezza profondamente unitiva con l’esperienza che si sta vivendo: si tratta di imparare ad essere consapevoli del corpo nel corpo, di essere consapevoli dei sentimenti nei sentimenti, essere consapevoli del nostro stato mente-corpo nel suo insieme all’interno di questo stesso stato mente-corpo, di essere consapevoli degli oggetti della nostra mente dentro questi oggetti della mente.
A Karuna non insegniamo la meditazione, ci sono tanti ottimi centri cui ci si può rivolgere, tuttavia noi insegniamo delle capacità cliniche … Una delle abilità terapeutiche principali consiste nell’essere presenti alla nostra esperienza, quindi essere presenti di fronte alla persona con la quale ci troviamo. Dedichiamo un anno intero della formazione a questa competenza dello pscioterapeuta. Quindi ci chiediamo: “Che cosa sta succedendo a me? Che cosa sta succedendo adesso? Cosa sta succedendo nel mio corpo? Che cosa sta succedendo nei miei sentimenti?...”. Sviluppiamo, così, una relazione con ciò che avviene in noi stessi, nell’interazione e nell’altra persona. Ci chiediamo “Com’è? Com’è sentirsi tristi in questo momento o provare un dolore alla spalla, per esempio, ecc.”. Quindi si inizia entrando in contatto con la propria esperienza. La presenza mentale è contatto nella relazione.

(…) Nel nostro lavoro attingiamo molto a quello che noi chiamiamo “the felt sense” che è un modo di sentire molto profondo, quasi un sentire di pancia. Forse alcuni di voi avranno sentito parlare della tecnica del focusing. Si tratta più che altro della capacità di scendere, di calare dalla mente cognitiva in un luogo che si può individuare anche fisicamente, si trova sotto il diaframma, dove possiamo sentire gli ambienti in un modo molto più olistico. Insegniamo alle persone fin dal principio a fare questo per poter sintonizzarsi, per ascoltare il nostro ambiente relazionale: è la via d’accesso a ciò che è meno cosciente, a ciò che ci mette in contatto con la mente subliminale, un sapere nel presente molto più diretto, più immediato. Questo è anche una via d’accesso che ci permette di conoscere il nostro essere, la nostra mente più profonda, ci permette di comprendere come noi siamo collegati, siamo in contatto con un’altra persona: è un luogo dove possiamo essere meno condizionati. I maestri buddisti ci dicono che è la nostra incapacità di sentire, di percepire a questo livello che ci fa sentire separati, frammentati, incapaci di vederci l’un l’altro se non attraverso tonalità individuali di sentimento che risultano molto distorcenti ed oscillanti … Questo, in termini buddisti significa essere ignoranti e questa ignoranza ci porta alla sofferenza.
Al nostro istituto sottolineiamo l’importanza di conoscere veramente questo livello più profondo dell’essere … (…) si può guarire anche in questo ambito di contenimento più ampio, in una dimensione di noi stessi che non è condizionata. Noi tutti abbiamo dei bisogni basilari, fondamentali e se questi bisogni sono soddisfatti permettono al nostro essere naturale ed intrinseco di nascere e svilupparsi. Questi bisogni sono:
1. essere riconosciuto;
2. essere accettato e accolto;
3. essere sicuro, accudito;
4. ricevere sostentamento, sostenimento fisico;
5. trovare risonanza in qualcun altro, far sì che gli altri possano sintonizzarsi con noi.
Voi sapete come ci si sente quando si è realmente visti da un altro, ci saranno forse pochissime persone nella nostra vita che ci vedono veramente in questo modo e constatiamo come in queste situazioni evolve il nostro sistema della personalità. Questo dipende da come questi bisogni relazionali o emotivi sono stati soddisfatti oppure ignorati oppure abusati nelle nostre prime relazioni. All’inizio della nostra vita e forse anche nel corso di tutta la nostra vita, i nostri bisogni di benessere comprendono essere tenuti, contenuti in un cerchio di amore, e una madre, per poter contenere in questo cerchio, ha bisogno di potersi trovare lei stessa in questa condizione di “essere natura” e quindi lei stessa deve essere contenuta in un campo relazionale di amore e sostegno e quindi questo cerchio che contiene lei ha bisogno a sua volta di essere contenuto in un cerchio più ampio … quindi non parliamo di un unico cerchio, parliamo di un intero mandala, un mandala di amore e di sostegno. Nel nostro lavoro abbiamo scoperto che questi bisogni fondamentali di essere e benessere tornano all’epoca in cui noi eravamo nell’utero: dico questo perché una delle cose che viene spesso trascurata, è quanto sia importante lavorare con le madri e i bambini molto piccoli. Forse la cosa più importante che ho da dirvi oggi, è che lavorando con gli adulti abbiamo scoperto che una buona parte della nostra sofferenza nasce dal non essere stati incontrati sul piano essere-essere, cioè non c’è stato un incontro tra esseri, e quindi tutti noi portiamo delle ferite relazionali e tali ferite possono essere guarite in qualsiasi fase della nostra vita: dobbiamo soltanto imparare a creare le condizioni specifiche per generare un campo relazionale coerente dal punto di vista emotivo.

(…) Proprio come ci diceva David ieri, quando parlava dell’importanza della presenza della madre per un figlio/a in ambiente ospedaliero … la capacità di uno psicoterapeuta di avere questa presenza incorporata, che rappresenta l’aspetto più importante nella nostra esperienza, determina, poi, l’efficacia del lavoro. Quindi noi formiamo i nostri psicoterapeuti affinché possano imparare ad accedere al proprio benessere e, se non riescono a farlo, se non riescono ad entrare in contatto con la fonte di questo benessere, non potranno mai riportare tutto ciò con un’altra persona.

Claudio Foti intervista il professor Daniel Goleman

LA MEDITAZIONE COME CURA DELLA MENTE


CLAUDIO FOTI: C'E’ QUALCOSA DI MISTERIOSO NELLA FUNZIONE MENTALE DELLA CONSAPEVOLEZZA, COME MAI LA CONSAPEVOLEZZA DEL QUI E ORA O LA CONSAPEVOLEZZA DEL PASSATO CHE VIVE ANCORA NEL PRESENTE RIESCE A FAR STARE BENE LA GENTE? COME MAI LA CONSAPEVOLEZZA PRODUCE BENESSERE E CAMBIAMENTO?

DANIEL GOLEMAN: E’ un assunto che la consapevolezza stessa sia curativa. E’ quanto dice Freud: sono gli insight della psicoanalisi, gli sguardi del paziente in analisi nel proprio mondo interno. Le difficoltà emotive che derivano dal passato possono renderci prigionieri di noi stessi nel presente: possono farlo a causa di una mancanza di consapevolezza. Primo, noi non sappiamo cosa sta accadendo dentro di noi, secondo anche se sappiamo cosa sta accadendo, non sappiamo il perché. Terzo, se sappiamo il perché non lo capiamo abbastanza nel profondo per intravedere una via di uscita. Tutto può essere conquistato con la consapevolezza o si prende un’altra strada nella quale il passato ci continua ad intrappolare nel presente.
Se continuiamo ad agire nelle nostre attuali relazioni una paura del passato, per esempio se io sono stato abbandonato da piccolo, adesso con il mio innamorato sono così preoccupato che mi possa abbandonare che sarò io a lasciarlo per primo. E continuerò così a ripetere la mia sovrapposizione del passato sul presente, a meno che non divento pienamente consapevole di quanto sta accadendo, nel presente e del perché ciò che accade arriva dal passato: questo è il primo passo per la libertà.



CLAUDIO FOTI: LEI HA SCRITTO UN LIBRO STRAORDINARIO CON IL DALAI LAMA SULLE EMOZIONI DISTRUTTIVE IL CUI SOTTOTITOLO E' “COME LIBERARSI DAI VELENI DELLA MENTE”. QUALI SONO LE PRINCIPALI EMOZIONI DISTRUTTIVE E COME E' POSSIBILE LIBERARSENE?

DANIEL GOLEMAN: Ogni emozione può avere una funzione utile: la rabbia ci informa che qualcosa deve essere cambiato, la tristezza può essere una vera e propria cura, l’ansia ci fa scappare da qualcosa che dobbiamo affrontare. Quindi nessuna emozione è cattiva in sé stessa, ci sono emozioni che potrebbero diventare distruttive quando ci conducono a ferire noi stessi o altre persone. Allora diventano emozioni negative che ci fanno stare male, ma l’emozione in sé stessa è valida, le emozioni rendono ricca la nostra vita. Il Dalai Lama comunque ha dato una risposta diversa, lui ha detto: “Ogni emozione diventa distruttiva quando disturba l’equilibrio della mente, quando disturba la capacità di vedere le cose realisticamente”. Da questo punto di vista anche la normale ansia e la normale rabbia sono emozioni distruttive perché cambiano la nostra percezione della realtà. In effetti quando siamo presi dalla rabbia anche la nostra memoria cambia. Quando sono arrabbiato con mia moglie posso solo ricordare le cose spiacevoli che mi ha fatto in passato e che mi hanno fatto arrabbiare, non posso ricordare perché la amo o amo i miei figli, dunque la rabbia distorce la nostra comprensione della realtà, la rabbia distrugge il nostro equilibrio interno, dunque dal punto di vista del Dalai Lama anche questo tipo di emozioni ordinarie, quotidiane possono essere interpretate come distruttive.



CLAUDIO FOTI: COME E' POSSIBILE AIUTARE NOI STESSI A LIBERARCI DALLE EMOZIONI DISTRUTTIVE? POSSONO ESSERCI DI AIUTO, POSSONO SOSTENERCI LA SCIENZA O LA SPIRITUALITA' IN QUESTO PERCORSO?

DANIEL GOLEMAN: Penso che le tradizioni spirituali e la scienza possano lavorare insieme. Il Dalai Lama ha detto ad un gruppo di scienziati: “Cosa possiamo fare per le emozioni distruttive? Nel Buddismo ci sono parecchie discipline che sono state usate per migliaia di anni e che hanno avuto successo su di noi, dunque io voglio sfidarvi a prendere queste nostre discipline e portarle fuori dai contesti religiosi, testarle molto regolarmente nei vostri laboratori per verificare l’aiuto che possono dare nell’alleviare la sofferenza.” Se queste discipline possono aiutare a disattivare le emozioni distruttive, possono diventare scudi grandi quanto vuoi contro la sofferenza. Ci sono attualmente programmi scientifici in corso di sperimentazione di queste discipline che sembrano davvero promettenti. Ecco, questo è il modo in cui la scienza e la spiritualità possono lavorare insieme per aiutare l’umanità oggi.


CLAUDIO FOTI: COSA PUO' IMPARARE LA PSICOLOGIA OCCIDENTALE DALL'INCONTRO CON LA PSICOLOGIA ORIENTALE IN PARTICOLARE LA PSICOLOGIA BUDDISTA, COSA C'E' DA IMPARARE DA UNA PSICOLOGIA TEORICA E PRATICA SVILUPPATA PER MILLENNI DA GENERAZIONI DI MEDITANTI?

DANIEL GOLEMAN: Prima di tutto penso che la psicologia occidentale possa imparare dalla psicologia buddista, qualcosa che ha a che fare con il nostro narcisismo. Sono rimasto scioccato come laureato in clinica psicologica ad Harvard quando sono andato in India e ho imparato che c’era un sistema psicologico intatto, vibrante, nel buddismo, o anche in altre religioni del mondo dove compaiono riflessioni psicologiche ormai da mille o di duemila anni, ma io non ne avevo mai sentito parlare nella mia formazione. Siamo molto chiusi culturalmente in occidente, pensiamo che la psicologia sia cominciata in Europa e America qualche centinaio di anni fa, è il nostro narcisismo, il nostro orgoglio. Non è vero. È una saggezza molto più antica quella degli psicologi, ed è un beneficio quello di aprirsi al mondo da cui possiamo imparare. E qui la psicologia occidentale è abbastanza debole, se paragonata alle altre psicologie orientali.

La psicologia occidentale si occupa di psicopatologia e si chiede “Quale terapia è possibile per quel problema?”, La psicologia buddista si è da sempre occupata della sofferenza connessa ad ogni esistenza per migliorare la salute mentale di tutti. In Occidente se abbiamo un problema emotivo cerchiamo una cura o una soluzione diversa per quel problema, ma non ci occupiamo di guardare la mente e il cuore nel loro complesso per dire: “Cosa possiamo fare affinché questa persona possa avere una esperienza migliore nella sua vita nel complesso?”

L’unico modo per vivere una vita migliore è quello di allenare la propria mente: bisogna guardare alla nostra vita emotiva e mentale come un insieme di abilità che possono essere migliorate con la benevolenza e con la compassione. Il cervello è plastico e può sistematicamente migliorare con la compassione! Quando Davidson chiese ad un meditante di lunga esperienza di fare una meditazione sulla compassione il cervello di quest’ultimo, monitorato dalla risonanza magnetica funzionale, ha raggiunto il più consistente spostamento di attività dal prefrontale destro al prefrontale sinistro.

Se si guarda in laboratorio il cervello dei meditanti sulla compassione puoi vedere qualcosa di davvero interessante nel loro cervello: una volta che hai coltivato la compassione, il centro nel cervello della felicità e delle emozioni positive e dell’amore è più attivo di qualunque altro studiato in laboratorio con persone ordinarie. Qualcosa dunque può essere fatto, in altre parole, per espandere le abilità del cervello, per espandere le abilità del cuore umano in modi molto positivi: da queste pratiche la psicologia occidentale può imparare molto da quella orientale.



CLAUDIO FOTI: COLGO L'OCCASIONE PER RINGRAZIARLA ANCHE PERSONALMENTE PER IL SUO LIBRO "THE MEDITATIVE MIND", "LA FORZA DELLA MEDITAZIONE" . E’ UN LIBRO CHE MI E’ STATO UTILE IN UN PERCORSO PERSONALE DI RICERCA E DI PRATICA PER ME MOLTO SIGNIFICATIVO. PROFESSOR GOLEMAN, COS' E' LA MEDITAZIONE?, COSA PUO' FARE PER RENDERCI MIGLIORI?

DANIEL GOLEMAN: Questo è stato il mio primo libro, che ho scritto nel 1975, all’epoca non avevo ancora realizzato completamente quale era la forza della meditazione, ma adesso trenta anni dopo abbiamo risposte decisamente migliori che io posso condividere con voi. Arrivano dalle nuove scoperte che abbiamo fatto grazie al Dalai Lama nei laboratori delle neuroscienze, studiando il cervello di alcune persone dopo ore e ore di meditazione. Abbiamo scoperto che il loro cervello era diverso, la qualità mentale dell’essere di queste persone era diversa come risultato. Ormai disponiamo della risonanza magnetica funzionale, che è un’immagine del cervello con cui possiamo tramite video monitorare e fotografare attimo per attimo i cambiamenti dinamici delle varie zone del cervello.

Si è chiesto ad alcuni meditatori esperti di meditare attivando la risonanza magnetica funzionale. Sono state fatte 4 meditazioni: una sulla compassione, una sulla concentrazione, una sulla visualizzazione, e una sullo stato mentale aperto, ovvero sulla consapevolezza piena, aperta della mente. Abbiamo scoperto che per ciascuno di questi stati ci sono impronte celebrali specifiche e distinte da tutti gli altri. Se si chiede a qualcuno di sottoporsi ad una risonanza magnetica funzionale e poi gli fotografi il cervello non puoi vedere differenze rilevanti. Ma se fotografi il cervello nelle persone che stanno svolgendo un compito meditativo i centri che abitualmente sono coinvolti nella compassione o nella realizzazione diventano il 10-15% più attivi Nei meditatori esperti diventa il 100% più attivo. In questi cervelli la forza della meditazione è anche la pratica, l’allenamento della mente che ci rende più capaci di essere forti in qualunque cosa si desideri fare. Così se si pratica la compassione, proverai la compassione in maniera più intensa. Se ci si concentra, si riesce ad essere concentrati più profondamente, se anche si vuole attivare nella presenza mentale, si migliora la presenza mentale senza che altre cose possano disturbare. Questa credo sia la vera forza della meditazione.



CLAUDIO FOTI: PROFESSOR GOLEMAN, LEI HA ANCHE PARLATO PIU’ VOLTE DI COMPASSIONE: DA SECOLI NE PARLAVANO SOLO L’ETICA O LA RELIGIONE, ORA E’ UN CONCETTO DI CUI SI OCCUPA ANCHE LA SCIENZA. SONO RIMASTO COLPITO DALLA LINGUA TIBETANA CHE USA LO STESSO TERMINE PER INDICARE LA COMPASSIONE PER SE' E LA COMPASSIONE PER GLI ALTRI; NOI OCCIDENTALI E’ COME SE SENTISSIMO COMPASSIONE PER GLI ALTRI, SPESSO PENA, E POCO PER NOI STESSI

DANIEL GOLEMAN: E’ vero! Sono rimasto colpito quando il Dalai Lama ha puntualizzato come nelle nostre culture occidentali, i linguaggi non posseggono una parola che è compassione per noi stessi, mentre in Asia, in Tibet, in Sanscrito la parola che indica la compassione implica non tanto una compassione esclusivamente rivolta agli altri, ma contemporaneamente compassione per te stesso così come per gli altri. Il Dalai Lama non capiva perché noi non diamo lo stesso significato in occidente quando diciamo compassione. In un sistema familiare, succede che un punto cieco familiare invisibile per i componenti della famiglia, viene riconosciuto invece dall’esterno. Un osservatore esterno può cogliere cosa sta succedendo in quella famiglia e può farlo notare. Lo stesso vale per le parti cieche di un sistema culturale. Il Dalai Lama ci ha restituito che manca nel nostro sistema culturale un concetto e una parola che esprimano una compassione integrata verso il Sé e verso l’altro.

MEDITAZIONE E PSICOLOGIA MEDITATIVA

Riprendono gli Incontri settimanali di ricerca personale e culturale sulle tecniche di meditazione e di sviluppo della consapevolezza
TUTTI VENERDI’ ALLE ORE 17, 30 (eccettuati i venerdì che coincidono con una festività)
PRESSO LA SEDE DEL CENTRO STUDI HANSEL E GRETEL
Gli incontri hanno un carattere prevalentemente esperienziale. Sono previsti momenti di discussione e riflessione culturale. Chi è interessato può intervenire con interrogativi, riflessioni, commenti sul FORUM che apriamo all’interno del nostro sito.
LA PARTECIPAZIONE AGLI INCONTRI E’ AD OFFERTA LIBERA