giovedì 10 ottobre 2013

MEDITAZIONE E CURA DI SE’ PER GLI OPERATORI IMPEGNATI NELLA RELAZIONE DI AIUTO


Foto: MEDITAZIONE E  CURA DI SE’ PER GLI OPERATORI IMPEGNATI NELLA RELAZIONE DI AIUTO 
La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e  pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction che significa “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”). 
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare  narcisista ed autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.   
La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto. 
Scrive Thich Nhat Hanh: “Molti di coloro che fanno professioni d’aiuto – dottori, infermieri, operatori sociali, psicoterapisti, insegnanti – vengono messi in difficoltà dal proprio dolore personale: a volte stanno male e non sanno come fare a riconoscere e trasformare la propria sofferenza. Da un lato hanno il desiderio di contribuire ad alleviare la sofferenza degli altri, dall’altro però non sanno ancora prendersi cura del proprio dolore personale. In ogni scuola o corso per assistenti o operatori sociali, per medici o per infermieri, insegnanti e avvocati, la pratica della presenza mentale e della cura di se stessi dovrebbe far parte del programma di studi, non solo a scopo informativo intellettuale ma come elemento della vita quotidiana degli studenti. Tutti loro trarrebbero un profitto personale dallo studio e dalla pratica della presenza mentale e renderebbero agli altri un servizio migliore. In una società davvero civile, ogni scuola per professioni d’assistenza dovrebbe insegnare la pratica della presenza mentale.”  (Thich Nhat Hanh, L’unica nostra arma è la pace)  

In conclusione le tecniche meditative aprono diversi e promettenti sentieri verso una crescita delle competenze di ascolto e di attenzione verso se stessi e verso gli altri. 
(Per un approfondimento cfr. il BLOG “Cura di Sé e meditazione” nel sito www. cshg.it)

La meditazione di consapevolezza, nelle sue molte forme e pratiche sviluppate in 2500 anni di tradizione buddhista, è uno strumento potente per ritrovare la connessione con il centro di noi stessi e con la capacità di mantenere la presenza mentale. Il praticante impara a cogliere e acquietare il movimento disordinato dei pensieri; nel maggiore silenzio interiore può distinguere più chiaramente quella che è la realtà da quelli che sono i suoi abituali schemi percettivi e reattivi, che distorcono la realtà e generano sofferenza.  Dalla meditazione di tradizione buddista sono nate nell’ambito della psicologia occidentale diverse prospettive teoriche e pratiche che cominciano a diffondersi (a partire dalla Mindfulness Based Stress Reduction (che significa la “Riduzione dello stress basata sulla consapevolezza”).
Le tecniche di meditazione orientali, trasformate in Mindfulness in Occidente, consentono di  allenare la mente ad alcuni principi e ad alcune pratiche che consentono di sviluppare da un lato la concentrazione, l’attenzione, la presenza mentale, dall’altro la capacità di ridurre lo stress, sviluppare il benessere psichico
La meditazione, se chiarita nella sue premesse e finalità ed applicata con continuità, è uno strumento straordinario per prendersi cura di sé in modo globale.  Prendersi pienamente cura di sé significa seguire una prospettiva che non deve risultare   narcisista ed  autocentrata, bensì aperta alla realtà esterna e dunque all’impegno di prendersi cura degli altri.  Prendersi cura di sé significa dunque attivare contemporaneamente la sensibilità verso se stessi e verso gli altri.  
La meditazione può essere un percorso da praticare individualmente o in gruppo per imparare a gestire le emozioni impetuose e i sequestri emozionali, per potenziare l’energia e la lucidità nelle situazioni che richiedono conflittualizzazione e negoziazione e per far prevalere gradualmente l’esperienza di calma e di rilassamento sulle spinte, provenienti dall’attività professionale, che producono un aumento della tensione e all’affanno. Per questo è particolarmente indicata per le professioni di aiuto.
Scrive Thich Nhat Hanh, monaco buddista vietnamita che anima un importante movimento buddista in Occidente :  “Molti di coloro che fanno professioni d’aiuto – dottori, infermieri, operatori sociali, psicoterapisti, insegnanti – vengono messi in difficoltà dal proprio dolore personale: a volte stanno male e non sanno come fare a riconoscere e trasformare la propria sofferenza. Da un lato hanno il desiderio di contribuire ad alleviare la sofferenza degli altri, dall’altro però non sanno ancora prendersi cura del proprio dolore personale. In ogni scuola o corso per assistenti o operatori sociali, per medici o per infermieri, insegnanti e avvocati, la pratica della presenza mentale e della cura di se stessi dovrebbe far parte del programma di studi, non solo a scopo informativo intellettuale ma come elemento della vita quotidiana degli studenti. Tutti loro trarrebbero un profitto personale dallo studio e dalla pratica della presenza mentale e renderebbero agli altri un servizio migliore. In una società davvero civile, ogni scuola per professioni d’assistenza dovrebbe insegnare la pratica della presenza mentale.”  (Thich Nhat Hanh, L’unica nostra arma è la pace

La tecniche di meditazione in effetti sono particolarmente efficaci per coloro che sono impegnati nella relazione d’aiuto. La relazione professionale  con utenti portatori di forte disagio è notoriamente fonte di stress, dovuto all’impatto con emozioni intense e logoranti di impotenza, dolore, ansia, rabbia, confusione, colpa… che non è facile smaltire stante gli scarsi spazi di confronto e riflessione di cui gli operatori dispongono. Il disagio dell’operatore può essere amplificato da problematiche istituzionali e relazionali legate all’organizzazione del lavoro spesso deficitaria e condizionata da politiche sociali spesso carenti dal punto di vista della tutela dei soggetti deboli e dell’investimento sulla relazione di aiuto. Un’ulteriore causa di malessere per gli operatori e i professionisti che operano su situazioni di grande sofferenza è data dal fatto che l’intervento può riattivare esperienze personali sofferte del passato, ancora doloranti in qualche angolo della mente, problematiche psicologiche e relazionali, non pienamente elaborate.

In conclusione le tecniche meditative aprono diversi e promettenti sentieri verso una crescita delle competenze di ascolto e di attenzione verso se stessi e verso gli altri.

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